La violenza economica" è una delle facce della violenza domestica e si riferisce a una forma di abuso o coercizione che riguarda aspetti finanziari o economici. Questo tipo di violenza si verifica quando una persona o un'organizzazione esercita un potere economico per controllare, manipolare o danneggiare deliberatamente un'altra persona o gruppo.
Ci sono diverse forme di violenza economica, tra cui:
La violenza economica può avere gravi conseguenze psicologiche per le vittime coinvolte. Queste conseguenze possono variare da persona a persona, ma alcune comuni implicazioni psicologiche sono: Stress e ansia: Le vittime di violenza economica spesso vivono in uno stato di stress costante a causa della mancanza di sicurezza finanziaria e dell'incertezza riguardo al loro futuro. Depressione: La perdita di indipendenza economica e la sensazione di impotenza possono portare a stati depressivi. Bassa autostima: Essere vittima di abuso finanziario può far sentire alle persone di non avere valore e di essere incapaci di prendere decisioni importanti riguardo alle proprie finanze. Isolamento sociale: La violenza economica può portare a un isolamento sociale, poiché le vittime possono provare vergogna nel condividere la loro situazione con gli altri o temere di essere giudicate. Sentimenti di colpa e vergogna: Le vittime possono sentirsi colpevoli o vergognarsi per essere finite in quella situazione o per non essere riuscite a proteggersi. Senso di impotenza: L'incapacità di controllare la propria situazione finanziaria può far sentire le persone impotenti e prive di controllo sulla propria vita. Problemi di salute fisica e mentale: Lo stress e l'ansia associati alla violenza economica possono avere un impatto negativo sulla salute fisica e mentale delle vittime. Difficoltà nelle relazioni interpersonali: Le tensioni finanziarie possono influenzare le relazioni personali e familiari, portando a conflitti e litigi. Difficoltà nel prendere decisioni finanziarie: Le vittime di violenza economica possono sviluppare una paura e una sfiducia nei confronti delle questioni finanziarie, rendendo difficile prendere decisioni informate riguardo ai propri soldi. Cicli di violenza: In alcuni casi, la violenza economica può essere parte di un ciclo più ampio di abuso emotivo o fisico, rendendo ancora più difficile per le vittime uscirne. È importante sottolineare che la violenza economica può avere effetti duraturi sulla salute mentale e emotiva delle vittime. È fondamentale cercare aiuto e supporto in situazioni di violenza economica. Le risorse possono includere consulenza psicologica, sostegno legale, gruppi di supporto e servizi di assistenza sociale. Rompere il silenzio e cercare aiuto sono passi cruciali per iniziare un percorso verso il recupero e la rinascita dopo essere stati coinvolti in una situazione di violenza economica.
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La fase di consultazione psicologica è costituita dai colloqui iniziali, (dai 2 ai 5 solitamente) tra il cliente e lo psicoterapeuta. Questa fase iniziale è fondamentale per stabilire una base solida per il rapporto terapeutico e per comprendere meglio le esigenze e le sfide del cliente.
Ecco cosa ci si può aspettare dalla fase di consultazione psicologica: Introduzione e presentazione: nel primo colloquio, il professionista e il cliente si presentano l'uno all'altro. Lo psicoterapeuta potrebbe fornire informazioni sulla sua formazione e le sue esperienze, mentre il cliente potrebbe condividere alcuni dettagli sulla sua storia e sui motivi per cui ha cercato aiuto. Il professionista spiegherà la politica di riservatezza e il fatto che tutto ciò che viene discusso durante la terapia è trattato con la massima confidenzialità, salvo in casi in cui vi sia un rischio per la sicurezza del cliente o di altri. Raccolta di informazioni: il professionista chiederà al cliente di condividere informazioni riguardanti la sua vita in ambito familiare, lavorativo, sociale, le esperienze passate le problematiche attuali. Se il cliente presenta una particolare sintomatologia si cercherà di comprenderne la storia clinica e il momento di esordio. Questo aiuta il terapeuta a ottenere una comprensione più approfondita dei problemi e delle esigenze del cliente. Per questa fase, in accordo con il paziente, si possono essere usante anche interviste standardizzate o test diagnostici. Obiettivi della terapia: il professionista discuterà con il cliente gli obiettivi che quest'ultimo vorrebbe raggiungere attraverso la terapia così da stabilire un percorso di trattamento mirato e personalizzato. Formulazione di un piano di trattamento: basandosi sulle informazioni raccolte e sugli obiettivi del cliente, il professionista svilupperà un piano di trattamento appropriato. Potrebbe includere il tipo di terapia più adatto, la frequenza delle sessioni e le tecniche terapeutiche utilizzate. Creazione di un rapporto di fiducia: già dalla fase di consultazione, è essenziale che il cliente si senta a proprio agio e in grado di instaurare un rapporto di fiducia con il professionista. La fiducia è fondamentale e indispensabile per il successo della terapia. La fase di consultazione è cruciale poiché aiuta a stabilire una buona base di comunicazione e comprensione tra il cliente e il professionista. Al termine della fase di esplorazione il clinico ha raccolto le informazioni diagnostiche necessarie a tratteggiare un quadro della situazione familiare, affettiva, relazionale e lavorativa del cliente, cogliendone punti di forza e criticità. La frammentazione dell'io è un concetto che può essere interpretato in diversi modi, a seconda del contesto in cui viene utilizzato. In generale, si riferisce a un'esperienza di frammentazione o divisione dell'identità di una persona, in cui si possono manifestare diverse parti o aspetti dell'io che sembrano essere separati o dissociati l'uno dall'altro.
È un concetto ampiamente discusso e studiato nella psicologia e nella psicoterapia. La frammentazione dell'io può manifestarsi in diversi modi: una persona potrebbe sperimentare una frammentazione dell'io a causa di traumi o esperienze difficili nella loro vita. Questi eventi possono portare a una divisione dell'identità in parti separate come meccanismo di difesa psicologica. In alcuni casi, può essere associata a disturbi dissociativi, come il disturbo dissociativo dell'identità. In questi casi, una persona può avere diverse identità o personalità che si alternano nel controllo del comportamento. La frammentazione dell'io può anche essere una conseguenza di conflitti interni o ambivalenze nelle persone, una persona potrebbe avere parti di sé stessa che si sentono in conflitto tra loro o che hanno valori e desideri contrastanti. È importante notare che la frammentazione dell'io è un concetto complesso e che ci sono diverse teorie e approcci nella comprensione e nel trattamento di questa condizione. La terapia può essere utile per affrontare la frammentazione dell'io in quanto potrebbe mirare a unificare e integrare le diverse parti dell'identità di una persona, facilitando la comunicazione e la collaborazione tra di esse. Un percorso terapeutico può aiutare una persona a sviluppare un senso più coeso di sé e a raggiungere un maggiore benessere psicologico. Nell'era moderna, con l'avanzamento della tecnologia e la diffusione di internet e dei dispositivi digitali, sono emerse nuove forme di dipendenza. Alcune delle nuove dipendenze più comuni includono:
La dipendenza affettiva, o love addiction, può essere definita come una forma patologica di amore, ossessivo e simbiotico e fa parte di quelle che sono considerate, oggi, le “nuove dipendenze”: dipendenze comportamentali, processi che presentano le stesse caratteristiche della tossicodipendenza ma non sono causati dall’azione di una sostanza, bensì dalla dipendenza da un comportamento.
In un rapporto caratterizzato dalla dipendenza emotiva il partner si trasforma in una sorta di droga utilizzata per riempire un vuoto profondo o per rispondere ad un vissuto abbandonico. La relazione è caratterizzata dall’assenza di reciprocità, in cui il partner dipendente affettivamente, cerca in modo costante la vicinanza dell'altro, sentendolo come condizione unica e fondamentale della propria esistenza. Le persone che potrebbero essere definite come dipendenti affettivi solitamente, hanno vissuto profonde carenze emotive durante l’infanzia, che li hanno portati a provare una forte angoscia abbandonica, motivo per cui è proprio la paura di essere lasciati che sta al centro del loro modo di vivere in relazione e del loro modello relazionale. Il dipendente affettivo tende ad annullarsi, non riuscendo a mantenere la propria autostima e autosufficienza, e a dipendere dal partner vivendo la relazione con ansia, andando in allarme o provando vissuti abbandonici quando l’altro, per esempio, non risponde al telefono oppure è lontano emotivamente. Chi soffre di dipendenza affettiva solitamente ha una percezione di sé stesso come soggetto bisognoso, incapace di provvedere al proprio sostentamento e riesce ad affermare sé stesso solo tramite un riferimento esterno. Il dipendente fatica ad esprimere i propri pensieri e a prendere decisioni da solo dando maggiore importanza alle emozioni del proprio partner e mettendo in atto costantemente comportamenti volti ad evitare il rifiuto e la solitudine. In alcune situazioni può sviluppare sintomi come ansia generalizzata, depressione, inappetenza, insonnia, malinconia, idee ossessive. Quali possono essere i segnali di allarme nell’individuo?
Per cercare di non essere abbondato e di gestire l’ansia, il dipendente mette in atto comportamenti di controllo e di completa dedizione all’altro, sperando che soddisfacendo ogni bisogno del partner, questo resterà al suo fianco. Il dipendente potrebbe pensare al partner in modo ossessivo e costante tutto il giorno, è estremamente attento a come si comporta e come sta l’altro a tal punto che, spesso il suo equilibrio emotivo e la stima di sé sono fortemente collegati al comportamento del partner. La dipendenza affettiva è una dinamica a due, spesso le persone scelte dai dipendenti affettivi tendono a non ad essere gratificanti ma, al contrario rifiutanti, sfuggente, irraggiungibile, evitanti, anaffettivi, a volte narcisisti; si tratta di persone con le quali si instaura una relazione insoddisfacente, infelice e dolorosa e nelle quali l’immagine di sé del dipendente come non degna d’amore viene confermata. Il dipendente affettivo ha bisogno continuo e a volte ossessivo di essere amato, desiderato e rassicurato a tal punto che solamente il partner è elemento di gratificazione, ebrezza e felicità. Questo disequilibrio, frequentemente, porta a relazioni di coppia pericolose per la salute mentale e fisica del soggetto dipendente. La tendenza stessa a costruire una relazione caratterizzata da non reciprocità, ma in cui l’altro e i suoi bisogni siano centrali, potrebbe lasciare spazio a personalità egocentriche e anaffettive, che finiscono per confermare in chi soffre di dipendenza affettiva, la paura di non essere degni di amore. Vivere in una relazione non gratificante, genera infatti ulteriori insicurezze e amplia le fragilità della persona che soffre di dipendenza affettiva, alimentando un circolo vizioso che diventa sempre più difficile e faticoso interrompere. La bassa autostima porta il dipendente a leggere la scarsa disponibilità dell’altro non come informazione sull’altro, ma come informazione su di sé (“non sono degno”), ciò porta ad un aumento della sottomissione e un continuo colpevolizzarsi per l’andamento insoddisfacente della relazione. Quali possono essere i campanelli di allarme in una coppia?
Il dipendente dedica tutto sé stesso all’altro cercando di soddisfare i suoi bisogni e desideri, ma qualora sentisse un sovraccarico o una coercizione potrebbe ribellarsi. Questa ribellione però, il più delle volte, genera un enorme senso di colpa che porta la persona che soffre di dipendenza affettiva a ricercare nuovamente il partner o se l’altro lo allontanerà, a trovare una nuova relazione che avrà le stesse caratteristiche disfunzionali della precedente. Per evitare di ricreare rapporti distruttivi e per superare la dipendenza affettiva è fondamentale seguire una terapia psicologica durante la quale sarà possibile imparare a gestire le relazioni affettive in modo più equilibrato e sano. Un percorso di psicoterapia può essere utile per comprendere le radici del problema di dipendenza affettiva, intervenire sulle carenze alla base della dipendenza e a gestire le angosce abbandoniche. Lavorando poi sulla paura dell’abbandono, sulla propria autostima e sulla comprensione e la modifica dei modelli relazioni appresi nelle relazioni precedenti e quelle familiari si potrà rafforzare il proprio senso di autoefficacia, la capacità di esprimere pensieri ed emozioni, e migliorare la qualità della vita individuale e relazionale. Gli attacchi di panico sono momenti di intensa paura e disagio, che possono verificarsi in maniera più o meno improvvisa. Le emozioni e i sentimenti che solitamente si provano sono: senso di irrealtà, ansia, paura di morire, terrore, sensazione di impazzire e di non riuscire a gestire la situazione. Dal punto di vista corporeo i sintomi più comuni sono caratterizzati da tachicardia, palpitazioni, bocca secca, fiato corto, tremori, tensione muscolare, dolore al petto, vertigini, sudorazione intensa, nausea mentre i pensieri riguardano la possibilità di svenire, soffocare, morire, avere un infarto. Solitamente un attacco di panico dura dai 5 ai 20 minuti, raramente dura di più, e va in remissione spontaneamente, ma la sensazione d’allarme e l’ansia provata lasciano il soggetto in uno stato di forte allarme.
Spesso la manifestazione di un attacco di panico può differire da soggetto a soggetto. La frequenza con cui si manifestano i sintomi del panico definisce, in genere, la gravità del disturbo. È possibile, infatti, che gli attacchi di panico si manifestino con una relativa bassa frequenza, ad esempio uno al mese. In casi più gravi gli attacchi possono essere diversi nell’arco della stessa giornata. Quando un soggetto è vittima di frequenti attacchi di panico allora si parla di disturbo di panico. Seppur gli attacchi di panico non siano dannosi per la salute, causano una grossa difficoltà nel mantenimento di una buona qualità della vita. È frequente, infatti, che a seguito del primo attacco l’individuo sviluppi una forte preoccupazione e ci si ritrovi a vivere in uno stato costante di apprensione per la possibilità che ne arrivino altri senza avvertimento. Questo pensiero è molto comune tra le persone che soffrono di attacchi di panico che di conseguenza si ritrovano in uno stato di tensione costante, conosciuto come “paura della paura”. La paura di stare male alimenta l’ansia che diventa panico che produce un nuovo attacco, generando così un circolo vizioso. L’individuo che ha avuto uno più attacchi di panico potrebbe mettere in atto dei comportamenti protettivi come evitare situazioni o gli individui che gli provocano malessere o ansia, oppure dei rituali che lo tranquillizzino. Quali possono essere le cause di un attacco di panico? Le cause degli attacchi di panico possono essere molto diverse tra loro. In genere il primo attacco si verifica durante un periodo particolarmente stressante durante il quale che il normale livello d’ansia aumenta, supera la soglia ed esplode in episodi di panico, più o meno intensi. Lo stress può essere dovuto ad un evento come un lutto, una malattia grave, un trauma acuto oppure alla presenza di numerosi fattori concomitanti difficoltà relazioni o economiche o cambiamenti importanti in uno o più ambiti della vita del soggetto. Alcuni fattori di rischio possono essere l’uso di alcol e droghe, la presenza di disturbi dell’umore, l’essere cresciuto in un ambiente familiare dove si è appreso che il mondo è un luogo pericoloso o che non si è in grado di far fronte agli eventi della vita. Cosa si può fare durante un attacco di panico? Durante un attacco di panico è importante tenere in mente che non si sta morendo, è difficile ma è utile e necessario provare ad interiorizzarlo. Imparare a controllare e rallentare la respirazione permette di fermare l’iperventilazione che genera vertigini e confusione. Si possono utilizzare, per esempio, due strategie per respirare profondamente: immaginare un palloncino nella propria pancia oppure utilizzando la numerazione. Per esempio, si può imparare a respirare lentamente seguendo queste indicazioni:
Per la cura degli attacchi di panico, con o senza agorafobia, può essere fondamentale l’aiuto di un professionista in modo da scongiurare il cronicizzarsi del disturbo ed evitare che si instauri il circolo vizioso della paura. Uno psicoterapeuta, infatti, può essere un alleato nel seguire un percorso mirato a superare, gestire ed affrontare gli attacchi di panico e all’interno del quale il paziente svolge un ruolo attivo nella soluzione del proprio problema. Insieme al terapeuta, ci si concentra sull’apprendimento di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali alla cura degli attacchi di panico con nell’intento di spezzare i circoli viziosi del disturbo. Il lutto è il sentimento di dolore che si prova per la scomparsa, di solito, di una persona cara ma può comprendere anche la perdita del lavoro, la fine di un rapporto significativo. In psicologia si identifica con il termine lutto tutti i sentimenti e stati mentali derivanti da accadimenti più o meno improvvisi che generano sofferenza o che hanno un forte impatto psicologico e/o che portano ad una modifica nella vita delle persone.
ll modello maggiormente utilizzato per descrivere le fasi dell’elaborazione del lutto venne proposto dalla psichiatra Kübler Ross nel 1969 con la “Teoria delle cinque fasi del lutto”:
Un lutto può essere patologico quando il sopravvissuto rimane attaccato in maniera permanente all’oggetto scomparso non permettendosi di procedere nella propria vita, nonostante ci siano occasioni di cambiamento. In psicologia, in una situazione di lutto, assumono particolare importanza i sensi di colpa che rappresentano una delle principali cause di dolore. Queste emozioni portano l’individuo a continui rimugini, e trasformano i ricordi in ossessioni, ed il pensiero ritorna continuamente alla presunta sofferenza inflitta al proprio caro o alla poca riconoscenza nei suoi confronti, a ciò che si voleva dire ma si è taciuto. Ci sono alcuni fattori che possono rendere l’elaborazione del lutto più complessa e che possono renderlo patologico:
La perdita di una persona cara può rappresentare una sfida alla validità delle credenze fondamentali e minare alla base la coerenza dell’auto-narrazione. Le perdite possono mettere alla prova le condizioni fondamentali che sostengono la reale esperienza vissuta, andando a colpire il proprio senso di significato e coerenza (Neimeyer et al., 2006). Il lutto, infatti, viene considerato una delle fonti di maggiore sofferenza per l’essere umano e può richiedere un tempo lungo per essere superato, ed è una delle cause di esordio dei disturbi di ansia e disturbi depressivi oppure può portare a reazioni opposte di tipo reattivo come interessarsi a tutto, eccedendo, pur di non fermarsi a pensare. Possono insorgere paure legate all’ospedale, alle terapie farmacologiche, alle visite, a luoghi o figure specifiche, a tutto quello che è legato alla malattia o alla morte. Far fronte alla perdita di qualcuno è un momento critico e difficile nel quale l’individuo si trova di fronte a un vortice di emozioni negative come la rabbia, la paura, l’impotenza e una forte tristezza. Un percorso di psicoterapia offre validi strumenti per elaborare il lutto, il terapeuta aiuta il paziente a comprendere le proprie reazioni, a controllare i pensieri intrusivi e gli interrogativi irrisolti, le emozioni, a trovare un modo meno doloroso di ricordare la persona scomparsa e a gestire lo stress psicofisico connesso alla perdita. Non esiste un vero e proprio identikit di una persona all’interno di una relazione disfunzionale ma esistono delle modalità distorte di entrare, mantenere e chiudere una relazione. Una relazione d’amore può essere disfunzionale quando tiene i partner uniti in un legame entro il quale si ripetono alcuni aspetti insoddisfacenti delle relazioni affettive del passato, familiari e sentimentali.
Nelle relazioni amorose infatti, riproponiamo quasi in modo automatico e inconsapevole modelli relazionali e schemi del passato che, nonostante siano causa di sofferenza, ci sono “familiari” e ci permettono di mantenere un ruolo nel quale implicitamente ci riconosciamo. In modo inconsapevole siamo portati a ricercare queste dinamiche “familiari” anche nelle relazioni con il partner. Ecco perché può accadere che con partner differenti, ci si ritrovi in situazioni sentimentali somiglianti e ugualmente insoddisfacenti. Una relazione può essere tossica, ad esempio quando i momenti di rabbia, tristezza, senso di colpa, disagio sono maggiori dei momenti di felicità e di tranquillità, o quando si sta bene solo insieme ma appena il partner si allontana si vive una sensazione di paura, ansia, o dubbio. Questo tipo di relazioni non alleggeriscono il carico emotivo che quotidianamente tutte le persone sono costrette a gestire ma, al contrario, appesantiscono, deprimono, rendono infelici e infine portano ad un vero e proprio esaurimento emotivo. Le relazioni disfunzionali o tossiche possono essere caratterizzate da: · mancanza di empatia e ascolto, · mancanza di intesa sessuale, · mancanza di comunicazione e progettualità, · l’incapacità di considerare l’altro o di essere considerati dall’altro, · gelosia, · sfiducia, · insicurezza, · abuso di potere e controllo, egoismo e scarso decentramento. Per uscire da una relazione tossica la prima cosa utile da fare è prendere consapevolezza del tipo di relazione che si sta vivendo, dei suoi limiti e delle mancanze e rinunciare all' illusione di cambiare l' altro. E’ possibile salvare la relazione se entrambi i partner sono disponibili a rivedere i propri comportamenti disadattivi utilizzati nel rapporto con l’altro e a cercare un dialogo empatico, costruttivo e rispettoso, a questo scopo può rivelarsi utile ed efficace intraprendere un percorso di psicoterapia di coppia. Questo percorso terapeutico può aiutare i partner a comunicare in modo corretto comprendendo l’uno il punto di vista dell’altro e superando argomenti di conflitto che sembrano passati ma non lo sono, può supportare la coppia nel rafforzare il legame e la fiducia reciproca e migliorare l’intimità fisica ed emotiva. Se le difficoltà, i litigi, i silenzi, la fine del sentimento, il calo dell’autostima e dell’autoefficacia dovuti al vivere all’interno di una relazione tossica arrivano a minare il benessere psicofisico può essere maggiormente utile un percorso di psicoterapia individuale che aiuti il soggetto a prendere consapevolezza non solo dell’andamento della relazione e di quelli che sono i propri bisogni e le proprie risorse, ma anche dei circoli viziosi e dei meccanismi psicologici responsabili della predisposizione a vivere una relazione disfunzionale, riuscendo così a staccarsi dal partner senza correre il rischio di trovarsi in un altro rapporto ugualmente pericoloso. L'assessment e il test di Rorschach L' assessment terapeutico è una forte occasione di intervento terapeutico breve con individui, coppie e famiglie così come può essere un aiuto nelle empasse di percorsi terapeutici in corso. Il cliente è parte attiva del processo di conoscenza del proprio funzionamento psichico. É coinvolto nel processo di cambiamento e nella riscrittura della propria storia, in modo graduale già nella fase di valutazione.
Un test psicodiagnostico tra i più usati sia in ambito clinico che giuridico è quello delle macchie di Rorschach, un test proiettivo composto da 10 tavole. Per ogni tavola al soggetto è chiesto cosa gli suggerisce la macchia. Viene usato per esaminare le caratteristiche della personalità e il funzionamento emotivo dell'individuo. Il test è spesso utilizzato per rilevare i modelli di pensiero sottostanti, i comportamenti consapevoli e non consapevoli, la modulazione delle emozioni e per valutare il livello generale di adattamento alla società. |
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